Cristianesimo e religione


H. J. Nouwen, Sentirsi Amati (seconda parte)

H. J. Nouwen, Sentirsi Amati (seconda parte)

Questo libro è il frutto di una lunga e solida amicizia. Credo che trarrai maggior profitto dalla sua lettura, se inizio raccontandotene la storia. Poco più di dieci anni fa, quando insegnavo alla Yale Divinity School, un giovane entrò nel mio studio per intervistarmi per l'edizione domenicale del New York Time, per la zona del Connecticut. Si presentò come Fred Bratman. Appena seduti, mi setii prendere da un misto di irritazione e attrazione. Ero irritato perché percepivo chiaramente che quel giornalista non era poi così interessato a fare ciò che stava facendo. Qualcuno gli aveva suggerito che poteva essere un buon soggetto per un “profilo” ed egli aveva seguito il consiglio. Non riuscivo però a vedere in lui alcun interesse specifico nei miei riguardi o un vivo desiderio di scrivere su di me. Insomma un lavoro da giornalista che, se doveva essere fatto, non era poi indispensabile.

C'era tuttavia in me anche un elemento di attrazione poiché avvertivo, sotto la sua maschera di indifferenza, uno spirito particolarmente sensibile, desideroso di imparare e di creare. In qualche modo, mi rendevo conto di essere davanti a un uomo ricco di grandi doti personali, nell'ansiosa ricerca di come farne uso.

Dopo una mezz'ora di domande alle quali nessuno dei due partecipò con grande interesse, era ormai scontato che l'intervista volgeva al termine. Un articolo sarebbe stato scritto, pochi l'avrebbero letto, e tutto, o quasi, sarebbe finito lì. Entrambi lo sapevamo e intuivamo che avremmo potuto usare meglio il nostro tempo.

Ma proprio mentre Fred stava riponendo i suoi appunti nella cartella, e ringraziava, come si usa, il suo ospite, lo guardai diritto negli occhi e gli chiesi: “Mi dica, le piace il suo lavoro?”. Con mia sorpresa e senza pensarci troppo, rispose: “No, non proprio, ma è un lavoro”. Un po' ingenuamente dissi: “Se non le piace, perché lo fa?”.

Per i soldi, naturalmente” rispose, e prima chi io potessi fare un'altra domanda, aggiunse: “Sebbene scrivere mi piaccia veramente, trovo frustrante abbozzare “profili” per dei giornali, poiché non ho sufficiente spazio per rendere giustizia al soggetto di cui parlo. Ad esempio, come esprimere qualcosa di profondo su di lei e sulle sue idee quando posso usare non più di 750 parole? Ma che scelta ho? Bisogna pur vivere. Dovrei essere felice d'avere almeno questo da fare!”. Sentii nella sua voce rabbia e rassegnazione insieme. Mi colpì improvvisamente l'idea che Fred stesse per abbandonare i suoi sogni. Mi guardava come un prigioniero guarda da dietro le sbarre una società che lo costringe a lavorare per qualcosa in cui non crede. Osservandolo meglio, provai per lui una profonda simpatia, oserei dire di più, un profondo amore. Intuivo che sotto il sarcasmo e il cinismo c'era un bel cuore, un cuore desideroso di dare, creare, vivere una vita feconda. La sua mente acuta, la franchezza con se stesso e la semplice fiducia che egli riponeva in me, mi fece sentire che il nostro incontro non poteva essere soltanto casuale.

Sentii forte e spontaneo nascere in me il desiderio di liberare quell'uomo dalla sua prigione e di aiutarlo a scoprire come appagare le sue più intime aspirazioni.

Cosa vuoi veramente?” gli chiesi. “Voglio scrivere un romanzo... ma non sarò mai all'altezza di farlo”. Lo vuoi veramente?” chiesi ancora. Fred mi guardò e mi disse sorridendo: “Sì, ma ne sono anche spaventato, perché non ho mai scritto romanzi, e può anche darsi che non ne abbia la stoffa”.

Come potrai accertartene?” domandai. “Beh, probabilmente non potrò. Ci vuole tempo, denaro, e soprattutto talento, e io non possiedo nulla di tutto ciò”. In quel momento provai una sorta di sdegno nei suoi confronti, nei confronti della società e in qualche modo anche di me stesso perché lasciavo le cose come erano. Sentii l'urgenza di abbattere tutti questi muri di paure, convenzioni, aspettative sociali e frustrazioni personali e mi sfuggì dalle labbra: “Ma perché non molli il lavoro e scrivi il tuo romanzo?”. “Nono posso” disse...

Intanto io continuavo ad insistere: “Se lo vuoi veramente, puoi farlo. Non devi essere vittima del tempo e del denaro”. A quel punto mi resi conto d'essermi lasciato coinvolgere in una battagli che ero ben determinato a vincere. Fred sentì questo intenso mio coinvolgimento e disse: “Sono solo un giornalista ed immagino che dovrei anche esserne contento”. “No, non dovresti” risposi. “Dovresti rivendicare i tuoi desideri più profondi e fare ciò che veramente vuoi... il tempo e il denaro non sono il vero motivo”. “E qual è il vero motivo?” mi chiese Fred. “Sei tu” dissi. “Tu non hai niente da perdere, sei giovane, pieno di energia, con una buona formazione.. Ogni cosa ti è possibile... Perché lasci che il mondo ti sprema?... Perché ne diventi vittima? Sei libero di fare ciò che vuoi – se è quello che veramente vuoi!”. Fred mi guardava con crescente sorpresa, domandandosi che cosa lo avesse portato a questa strana conversazione. “Beh dovrei andare... un giorno o l'altro forse scriverò il mio romanzo”.

Lo fermai, non volevo che se ne andasse via così facilmente. “Aspetta, Fred, So quel che dico. Segui il tuo desiderio”. Con un tocco di sarcasmo, compresi che le mie convinzioni erano in gioco. “Fred, lascia il tuo lavoro, vieni qui per un anno e scrivi il tuo romanzo. In qualche modo ti procurerò il denaro”. Molti anni dopo Fred mi disse che in quel momento cominciò a sentirsi nervoso e a porsi domande sulle mie motivazioni. Pensava: “Ma cosa vuole veramente da me quest'uomo? E perché mi offre tempo e denaro per scrivere? Non mi fido. Ci deve essere qualcosa sotto!”. Ma, invece di far presente questi pensieri, si limitò a obiettare: “Io sono un ebreo, mentre questo è un seminario cristiano”.

Io rintuzzai le sue obiezioni: “Noi avremo un letterato tra noi... Puoi fare quello che vuoi... A tutti qui piacerà avere un romanziere tra loro e, nel frattempo, potrai imparare qualcosa sia sul Cristianesimo che sull'Ebraismo”. Qualche mese dopo Fred venne alla Tale University School e vi passò un anno cercando di scrivere il suo romanzo. Il romanzo non venne mai scritto, ma noi diventammo veri amici. Oggi, a diversi anni di distanza, sono io che scrivo questo libro, che è come il frutto di quella amicizia.

 

Quali domande interiori suscita in me questo testo?



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